Violenza, violenza, violenza!
Indaga come le disuguaglianze e il conformismo alimentano i conflitti
11min
Indaga come le disuguaglianze e il conformismo alimentano i conflitti
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Episodi di Sociologia Pop
Scienziati e scienziate della società bentornati a tutti ad un nuovo episodio 4books di Sociologia Pop. Sempre Paolo Petrucci in arte Giovani Sociologi Crescono che parla.
Allora: violenza, violenza, violenza! Questa puntata ha tre volte questa parola nel titolo, perché sono tre volte come le lezioni che la sociologia sulla violenza ci può dare. Possono essere molte di più ovviamente, l’argomento è vastissimo, però per voi oggi ne ho scelte tre, che secondo me sono le più interessanti. Ma prima di tutto, che cos’è la violenza? Come la possiamo definire? La violenza è un atto, un comportamento che usa la forza fisica e non, che sia con armi o con altri mezzi di offesa, per recare danno, ad una persona oppure un oggetto. In senso più ampio, si può anche definire come abuso della forza. La prima lezione che volevo passarvi è riguardo le cause: da dove tutto parte chiaramente. Da dove si può originare? Da dove parte? Ma soprattutto perché? Uno vede un atto violento, tipo dei manifestanti che si scontrano con la polizia, poi vede i fumogeni, manganellate, disordini, feriti, in alcuni casi anche morti, e si chiede giustamente: ma come ci siamo arrivati? La sociologia identifica varie cause nella nascita della violenza. La prima è la disuguaglianza, sociale ed economica che sia. La nostra vecchia amica: la disuguaglianza, causa di un sacco di problemi. Parliamo della povertà, soprattutto quella assoluta, cioè quando una persona o una famiglia non hanno le risorse essenziali per condurre una vita decente. Questa condizione di esclusione dalla società può portare a considerare la violenza come un mezzo possibile per ottenere quei beni o quelle ricchezze in più, che attualmente mancano. Un secondo motivo che spinge gli individui ad essere violenti è la cosiddetta violenza strutturale, significa quando è radicata nella struttura di una società, per quello è “strutturale”. E uno dice “si ma in che senso è radicata nella struttura di una società?”. Faccio un esempio: quando il razzismo è radicato in una società, porta a delle forme di violenza nei confronti di determinate persone, di determinati gruppi. Esempio più lampante sono le norme e le leggi che discriminano le comunità etniche durante il fascismo: le leggi razziali. Quello era un tipo di violenza non fisica, ma strutturale, perché creava una struttura che discriminava gli ebrei in questo caso, un sistema che discriminava gli ebrei da ogni settore dell’attività civile. Lo stesso principio puoi applicarlo per il sessismo per esempio: pensate a quando in Italia ancora esisteva il delitto d’onore, e per tanti altri casi. Quello che voi dovete stamparvi in testa è che spesso i costrutti sociali portano avanti forme di violenza, non necessariamente fisiche, e che sono radicate al loro interno. C’è un mondo dietro questa cosa, la approfondiremo in un momento più avanti della puntata.
Terzo motivo che può promuovere la violenza: il conformismo, la spinta, la pressione sociale del gruppo e della società. Le persone possono adottare comportamenti violenti per conformarsi alle regole del gruppo e non sentirsi esclusi. Questo concetto vale soprattutto per quello che riguarda situazioni di criminalità tipo le bande criminali, le gang. Lì praticare la violenza è come se fosse di default e devi farlo per ottenere l'accettazione, il rispetto. Il quarto motivo è la disgregazione sociale o anomia. Il concetto di Anomia è di Emile Durkheim, è uno storico concetto della sociologia. Indica quelle situazioni in cui i costrutti sociali, i valori di una società si indeboliscono, non sono più sentiti, e quindi generano smarrimento nelle persone. I membri di una società non hanno più linee guida e quindi si sentono persi e smarriti dal punto di vista dei valori. Questa situazione di disgregazione sociale può portare a comportamenti devianti, e quindi anche alla violenza. Perché le norme sociali non sono così tanto definite, anzi sono in declino, e per esprimere questo disagio gli individui possono ricorrere alla violenza. In questo punto rientra anche il fallimento delle istituzioni, non solo necessariamente dei valori in generale. Parliamo di quei casi in cui le istituzioni tipo famiglia, scuola, sistema politico non funzionano correttamente, oppure sono percepite come ingiuste, oppure ancora è stata persa fiducia nei loro confronti. Allora in quel caso possono fallire nel contenere la violenza, perché non regolano più. È come una diga che fa uscire l’acqua in modo regolato anziché farla uscire tutta e all’improvviso. Ecco l’acqua sarebbe la violenza, la diga sarebbe l'istituzione tipo che ne so il sistema giudiziario, che dice “ci penso io ad amministrare la violenza, la regolo io” come la diga sta dicendo “ci penso io a tenere l’acqua regolata”, ma se la diga non funziona, si rompe, non è solida, l’acqua inizia a uscire dalle crepe, che continuando il parallelismo in questo caso potrebbe essere che siccome il sistema giudiziario non è efficace, allora inizia a comparire la giustizia fai da te. “Me la faccio io la giustizia se l'istituzione che dovrebbe farla non funziona”. Allora può iniziare la violenza della giustizia privata e la vendetta in questo caso. Questa era la prima lezione: le cause della violenza. La seconda lezione è sui tipi di violenza. Di violenza ce ne sono tanti tipi, non è tutta uguale. Può manifestarsi in vari modi: fisica, psicologica, strutturale, simbolica. Quella fisica la conosciamo tutti, la possiamo immaginare. Quella psicologica consiste in un insieme di parole, minacce e intimidazioni per obbligare e opprimere gli altri, spesso per costringerli ad agire contro la propria volontà. Non utilizza (necessariamente) la forza fisica. Ma quella di cui volevo parlare soprattutto, visto che è un podcast di sociologia questo, è quella simbolica. È un mondo, perché è un tipo di violenza non necessariamente fisica, non direttamente psicologica, ma sociale. I puntini che ho collegato quando a 19 anni al primo anno di triennale ho studiato questo concetto! La paternità del concetto è del sociologo Pierre Bourdieu. Che cosa si intende per violenza simbolica? È un tipo di violenza esercitata solitamente da un gruppo di persone dominanti che hanno potere: economico, sociale, culturale, politico eccetera. Tipo di violenza che non è portata avanti con le armi cioè “ti manganello se non voti per il mio partito” tipo le dittature, ma attraverso la cultura, cioè attraverso un costrutto culturale che avvantaggia quella classe, quel gruppo sociale dominante. Perché viene imposto sulla società e perché è un costrutto sociale estremamente diffuso nella popolazione di quella società. Faccio un esempio pratico: Italia fascista, quindi anni ‘20,‘30, ‘40. Ai tempi c'erano sia la violenza fisica ovviamente, come dicevo prima, cioè: “se non voti per il partito nazionale fascista ti faccio bere l'olio di ricino”, ma c'era anche la violenza simbolica cioè: nelle scuole viene fatto imparare ai bambini che esistono due razze e che quella ebrea deve essere esclusa, poi le leggi tagliano fuori gli ebrei dalla vita civile, poi ci sono messaggi di propaganda su propaganda che ricordano come gli ebrei e gli italiani debbano essere separati e che sostanzialmente i primi erano inferiori. Esempio perfetto di violenza simbolica: la classe dominante, cioè gli italiani, bianchi, non ebrei, fascisti, in particolar modo i gerarchi fascisti, utilizzavano questo costrutto sociali a mo 'di arma per poter continuare ad essere giustificati nei loro intenti e nel loro potere. Per questo si chiama simbolica, perché utilizza i simboli, simbolica nel senso culturale. Usare i costrutti culturali come arma. Può andare ovviamente di pari passo con la violenza fisica è ovvio, però non necessariamente. Inoltre, questo è il punto che ti apre tanti ragionamenti, non necessariamente coloro che sono oppressi dalla violenza simbolica ne sono consapevoli. Attenzione: lo schema di discriminazione nei loro confronti potrebbe essere interiorizzato e quindi portarli a non capire che il sitema sociale in cui sono immersi li sta discriminando. Capito? Ti apre un mondo l’ho detto. Ti apre un mondo, anche se tendo a vederci delle critiche che ora non approfondirò per mancanza di tempo. Semmai un giorno ve ne parlerò. Terza ed ultima pillola di sociologia della violenza. Questa è più politica delle altre. Lasciatemi dire una cosina prima: un pezzetto del mio cuore è in questa ultima pillola, non tanto per il concetto in sé, ma più per il sociologo che ne ha parlato. Sto parlando del mitico Franco Ferrarotti. Franco Ferrarotti potremmo definirlo in un certo senso il padre della sociologia italiana, uno dei sociologi più importanti della storia della sociologia italiana. Questa piccola mini riflessione che vi racconto ora, è tratta da un suo libro che si chiama “Alle radici della violenza”. Ho trovato quel libro in una libreria di Milano un pomeriggio con un mio amico, ultra scontato e l’ho comprato all'istante. La lezione è: lo stato autoritario è uno stato debole in realtà. Perché? Ferrarotti spiega questo: se uno stato è autoritario o per lo meno mira ad avere quei comportamenti lì, ti controlla, ti minaccia, manipola l’informazione, e fa tutto questo per esprimere al massimo la sua forza, perché vuole apparire come forte e potente, in realtà sta manifestando la piena espressione di una debolezza. È debole, ha paura, perché teme il libero pensiero dei suoi cittadini. Il suo bisogno di essere autoritario, è inversamente proporzionale al fatto che ha perso autorevolezza. Una cosa è quando sei autorevole, cioè quando hai credibilità per la gente, gli individui hanno fiducia in te e quindi non hai bisogno di reprimerli o controllarli. Un’altra cosa è quando sei autoritario, che è il contrario in un certo senso: quando tutti i poteri li ha lo stato e li toglie ai cittadini. In realtà è l’espressione di una debolezza, non di una forza. Perché sotto sotto sa che non può contare sull’autorevolezza, cioè sul rispetto, quindi deve ricorrere alla forza. E sapete che mi viene in mente qui? Un collegamento, a scala molto più ridotta, con il bullismo. Avete presente quando gli psicologi ci ricordano che spesso un bullo opprime e ha quei comportamenti lì perché in realtà ha dei disagi interiori, ha tanta insicurezza? Mi ricorda quello spesso. Non sono uno psicologo, sono sicuro che ci siano tantissime altre cause per il bullismo per carità, è un tema importante e che non mi riguarda, però mi ha ricordato quello per un pezzetto. Queste erano le tre lezioni che la sociologia ci può dare sulla violenza. La sociologia si occupa di società e la società non è sempre bella, non è tutta rose e fiori, quindi si occupa anche di queste tematiche. Voi adesso avete parecchio su cui riflettere. Quando per esempio al telegiornale vedrete episodi di violenza tornate qui. Siamo arrivati alla fine dell’episodio, spero che vi sia piaciuto, grazie come sempre per l’ascolto. Tra l’altro nemmeno a farlo apposta, non era decisa la cosa, l’ultimo argomento che abbiamo toccato era riguardo i regimi governativi. La prossima puntata sarà proprio su quelli: sui tipi di governo politico, perché non sono tutti uguali questo lo sappiamo tutti, ma come differiscono nei fatti? È quel momento lì: quello della puntata politologica, appuntamento fisso in ogni stagione di Sociologia Pop. Non faccio altri spoiler, ci sentiamo alla prossima puntata. Io sono Paolo Petrucci di Giovani Sociologi Crescono e questa è Sociologia Pop.