I criminali visti da un sociologo
Criminali o devianti? Scopri come la società etichetta i comportamenti
9min
Criminali o devianti? Scopri come la società etichetta i comportamenti
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Episodi di Sociologia Pop
Scienziati e scienziate della società, ben tornati ad un nuovo episodio 4books di Sociologia Pop, sempre Paolo Petrucci di Giovani Sociologi Crescono che parla. Visto che la scorsa puntata è stata un po’ più tecnica perché abbiamo parlato del sistema elettorale americano e del perché ci sono due partiti in america, in questa facciamo un cambio di rotta. Torniamo più nell’aspetto umano e ci addentriamo nella sociologia della devianza, cercando di rispondere alla domanda: “ma quando sei un sociologo o una sociologa come vedi i criminali?”. Bella domanda! Intanto vi dico che la sociologia della devianza è quella branca della sociologia che studia appunto i comportamenti devianti, ovvero ? Abbiamo devianza nel momento in cui il comportamento di un individuo si discosta dalle norme sociali vigenti in un determinato contesto, quando le viola. Da non confondere invece con il concetto di criminalità, che è più specifico. Infatti prima di cercare di rispondere alla domanda iniziale, è bene tenere distinti i concetti di devianza e criminalità. La criminalità infatti è quando viene violata una legge vera e propria, formale e giuridica. Se tu la violi, c’è proprio un’ autorità che ti fa pagare. Se io rubo in un negozio, interviene un istituzione chiamata sistema giudiziario o magistratura che mi multerà, ed io sarò considerato criminale, parliamo quindi di criminalità. La devianza è più generica, perché non viola le leggi vere e proprie, quelle formali scritte, bensì le norme sociali, che sono più generiche. Perché includono anche le leggi vere e proprie, quelle di prima, ma non solo quelle. È una norma anche la regola del non masticare a bocca aperta e non pulirsi il la bocca con il gomito quando si sta a tavola, solo che però è una norma sociale, non una legge giuridica. È un costrutto sociale, non c’è un istituzione tipo la magistratura che multa chi mastica a bocca aperta e beve con il risucchio, anche se a me sinceramente piacerebbe che ci fosse, però non c’è. Quindi, se io sono un criminale sono anche un deviante perché ho violato delle leggi giuridiche e ufficiali. Ma se io sono un deviante non necessariamente sono un criminale, perché ho violato delle generiche norme, che magari sono norme informali, sociali, tipo comportarsi bene a tavola. Se le infrango non ci sarà la magistratura che mi perseguita. Al massimo ci sarà il contesto sociale mi condanna, che in pratica in questo caso significa che gli altri con cui sei seduto a tavola che ti dicono: “scusami, puoi chiudere la bocca mentre mastichi? Grazie”. Ora, possiamo addentrarci meglio nel discorso. Per questa puntata utilizzerò una delle più importanti teorie della devianza, la teoria dell’etichettamento anche conosciuta come Labelling Theory della scuola di Chicago. Se vuoi mi chiedeste: “come vedi un criminale se sei sociologo?”, una possibile risposta sarebbe: “frutto di un etichetta”. In che senso? Che vuol dire? Vi spiego tutto. La teoria dell’etichettamento si basa sul questa idea che come noi etichettiamo una persona come “criminale”, quest’ultima svilupperà più possibilità di diventare davvero un criminale, anche se non era per forza destinato a diventarlo all’inizio. Inventiamo una storia, immaginiamo che ci sia Matteo, che è un ragazzino di 15 anni, si trova in quel periodo della vita in cui si fanno le bravate. Matteo perde una scommessa con il suo gruppo di amici ed è costretto a rubare una mela. È titubante, non è un ladro, è un ragazzino, sa che sotto sotto rubare è sbagliato. Però si trova in quella fase della vita in cui non c’è quella stabilità e sicurezza con se stessi che arriverà 5, 10 anni dopo. Quindi sente la pressione del gruppo di amici, che gli dice: “eh ma lo avevi promesso”. Aggiungete anche che magari Matteo non proviene da una famiglia benestante del centro storico, ma viene da una famiglia medio bassa dal punto di vista della ricchezza della periferia, quindi c’è lo stigma sociale già. Mettete anche che magari come genitori Matteo non abbia avuto i migliori genitori di questo mondo, nessuno di pericolosi. Magari genitori semplicemente non ultra presenti, tutto qua, per cui non gli è stato insegnato a dire “no” quanto si dovrebbe. È una situazione rara quella che ho descritto? Mi sembra proprio di no, è una situazione che può tranquillamente esistere. Matteo cede e ruba questa mela, purtroppo gli va male, viene beccato. Tipo scena di un film: il fruttivendolo tiene il braccio con cui Matteo ha preso la mela e succede tutto quel trambusto che deve succedere, vengono chiamati i poliziotti, vengono avvisati i genitori. Qui entra in campo la teoria dell’etichettamento della scuola di Chicago, ed è qui che rispondiamo alla domanda: “come vedi i criminali da sociologo?”. La teoria dell’etichettamento ci spiega come Matteo in conseguenza di questo episodio verrà etichettato dal contesto sociale come “criminale”, verrà stigmatizzato negativamente e pubblicamente. Si diffonde la voce che Matteo ha provato a rubare una mela, a scuola i compagni gli si allontanano perché i genitori dicono ai loro figli: “quello è un delinquente, stagli lontano”, i genitori di Matteo si sentono imbarazzati di fronte ai loro amici perché i loro figli non lo fanno, Matteo si inizia a sentire isolato eccetera eccetera. Vedete l’aspetto pratico della situazione. La teoria dell’etichettamento ci spiega che tutto questo trambusto, tutti questi imbarazzi sociali, attenzione qui, non sono conseguenza solo dell’atto in sé per sé, cioè il furto della mela, ma sono conseguenza della reazione della società intorno a Matteo rispetto al furto della mela. Infatti questa etichetta di criminale apposta su Matteo avrà due tipi di conseguenze: una sul piano personale e l'altra sul piano sociale. Sul piano personale, la stigmatizzazione può avere l’effetto della così detta “profezia che si autoavvera”: siccome il contesto sociale intorno a Matteo lo vede come un criminale, lui sarà chiamato a ridefinire la propria identità, conformandosi all’immagine che ha la gente di lui ora. Che cos'è che io sono alla fine? Sono la risultante dell'interazione tra: da un lato la mia vera personalità e dall’altro cosa credo che gli altri pensino di me. Se una buona parte del contesto sociale intorno a me pensa che io sia un ladro, questo mi influenza. Sul piano sociale invece la conseguenza è essenzialmente quella che ho raccontato prima: la definizione di “cattiva persona, tizio pericoloso” applicata al soggetto, e quindi isolamento dalle relazioni, allontanamento a scuola, perdita del lavoro, incitamento ad avere legami con quelli che già sono criminali. Quanto può essere facile arrivare a dire: “non frequentare quel tizio perché quello è immischiato in giri di persone delinquenti”, poi magari non è nemmeno vero. Alla fine di tutto ciò che conta non è più l’aver o non aver commesso il reato, ma l’etichetta che è stata attribuita. Ed è qui, per concludere che avviene una ristrutturazione dell’identità sociale dell’individuo. Sentite che termine esaustivo? La sociologia ogni tanto ti caccia dei termini soddisfacenti dal punto di vista proprio della spiegazione. Ristrutturazione dell'identità sociale dell'individuo, cioè: cambia, viene ristrutturato, viene aggiornato il modo in cui la società, il contesto vede l’individuo. Un individuo commette un reato, magari nemmeno tanto grave, e magari senza l’intenzione di rifarlo in futuro. Lo commette e basta, in modo isolato senza essere coinvolto in un’organizzazione. Ora, poiché scatta tutto il trambusto che vi ho spiegato fin ora, il soggetto, che magari non era per forza intenzionato a rifare qualcosa di grave nuovamente, viene influenzato dalla sua nuova identità criminale attribuita a lui dal soggetto e aumentano le probabilità che diventi veramente un criminale. Questa è la teoria dell’etichettamento. Questo è un criminale visto da una prospettiva sociologica. Ora come sempre, ci sono i però, è ovvio. Perché finché parliamo di persone, questi esseri così particolari, gli umani, i “però” sbucano sempre. Comprendere i criminali, non significa giustificarli. Mettersi dalla prospettiva di una persona, non significa sposare il suo modo di fare. Chiaramente i criminali devono sempre essere puniti se commettono un’azione criminale. La teoria dell’etichettamento ci fa riflettere però sul fatto che spesso si potrebbe scambiare il punire qualcuno, con il contribuire a far diventare quel qualcuno un criminale perché la società lo ha stigmatizzato. Poi ovviamente può anche capitare che a prescindere dall'etichetta che gli viene messa sopra, una persona che ha commesso un atto deviante sia destinata a diventare un criminale. Mentre voi ci riflettete, siamo giunti alla fine dell’episodio questa era la riflessione della puntata di oggi, una puntata di sociologia della devianza. Il prossimo episodio non è da perdere perché vi parlerò dei uno dei miei sociologi preferiti in assoluto. Parleremo di quella che, secondo me, è stata un'idea rivoluzionaria nella storia dell'evoluzione della sociologia. Quando Robert Merton espose le teorie a medio raggio, cioè un nuovo modo di approcciare la sociologia. Ma ve lo racconterò nel prossimo episodio, come sempre vi ringrazio per avermi ascoltato e vi saluto, io sono Paolo Petrucci di giovani sociologi crescono e questo, è sociologia Pop.